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Privacy e Coronavirus: in Lombardia sono stati tracciati gli spostamenti dei cittadini

La questione è approdata in questi giorni al Viminale per verificarne la legittimità. Precisiamo che sono stati esaminati dati aggregati e non riconducibili ai singoli cittadini.

Continua l’emergenza Covid-19 e la corsa a nuovi ritrovati per ridurre il contagio, e monitorare l’evolversi dell’epidemia.

In questi giorni è emerso come Regione Lombardia ha utilizzato i dati forniti dagli operatori telefonici per sorvegliare, in forma aggregata ed anonima, gli spostamenti della popolazione.

L’Assessore Giulio Galera ha affermato che si tratti di: “un’applicazione che le grandi compagnie telefoniche hanno messo a disposizione per vedere in maniera aggregata e totalmente anonima il flusso delle persone, come si sono mosse all’interno della regione o fuori. Nessuno controlla come il Grande Fratello”.

Non è il primo caso di intrusione dello Stato nelle nostre vite private, ma è bene evidenziare che trattandosi di dati anonimi non trova applicazione la disciplina prevista dal Codice Privacy e dal GDPR.

Infatti, con dato personale si intende: “qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile («interessato»); si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale” (art. 4, n. 1, GDPR).

Il Garante già con parere del 2 febbraio 2020 ha ammesso delle deroghe alla disciplina ordinaria per la Protezione Civile, ma con la precisazione che: “alla scadenza del termine dello stato di emergenza, siano adottate da parte di tutte le Amministrazioni coinvolte negli interventi di protezione civile di cui all’ordinanza, misure idonee a ricondurre i trattamenti di dati personali effettuati nel contesto dell’emergenza, all’ambito delle ordinarie competenze e delle regole che disciplinano i trattamenti di dati personali in capo a tali soggetti”.

Provvedimenti analoghi sono stati previsti anche negli Stati Uniti dove l’Health Insurance Portability and Accountability Act (HIPAA) prevede la possibilità di operare in deroga all’ordinaria disciplina in materia con riferimento al consenso dei pazienti e ai diritti previsti per gli interessati.

In una recentissima intervista (19 marzo) Antonello Soro si è espresso in questi termini sull’argomento: “Guardi, usare la tecnologia per migliorare la qualità delle nostre vite, in questo caso addirittura proteggerle, è certamente un obiettivo giusto, che condivido. Esiste poi un passaggio successivo, assai delicato e ancora più importante: questi nuovi strumenti andrebbero valutati sulla base di un progetto serio, visibile e conoscibile, ispirato a principi generali di trasparenza, proporzionalità e coerenza tra obiettivo perseguito e strumenti usati. Per fare questa valutazione servono progetti concreti e valutabili. Invece in queste ore così difficili temo che a volte possa prevalere l’idea di “fare come la Corea del Sud” o “come la Cina”. Bene, dico qui con forza e chiarezza che non sono questi i modelli cui ci dobbiamo ispirare“.

Ribadendo che: “non è momento di improvvisazioni né di espressioni infelici come chi dice “io della privacy me ne frego”. La privacy è diritto alla libertà. E come se dicessero “io della libertà me ne frego”. Dobbiamo accettare regole che senza dubbio ci limitano in nome di un bene superiore senza però mai dimenticare che la forza del nostro Paese è sempre stato il modello democratico. Voglio dire che il nostro modello è l’Italia, l’Europa e non la Cina”.

Le deroghe sono quindi ammissibili, ma solo, ed esclusivamente, per il periodo strettamente necessario a debellare il virus.

L’emergenza deve essere l’eccezione, non la regola!