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Che cos’è la sindrome del burn out e stress ?

Progressiva perdita di idealismo, che lascia spazio a una generale assenza di energie e scopi, calo della concentrazione e forte nervosismo. Sono solo alcune delle caratteristiche proprie della situazione vissuta da operatori sociali, professionisti e non, come risultato delle condizioni in cui lavorano, e costituiscono il segnale della presenza di una condizione nota come sindrome del burnout, dall’inglese “to burn out”, ovvero “bruciarsi”.

Questa sindrome, che ha iniziato ad attirare l’attenzione degli studiosi negli anni ’70, si manifesta sotto di forma di svariate alterazioni del benessere dell’individuo:

  • a livello fisico, dove compaiono dolori muscolari, assillante sensazione di stanchezza e disturbi del sonno;
  • a livello mentale, dove riscontriamo una diffusa irritabilità, sensazione di impotenza e un diffuso scoraggiamento (stati che talvolta si manifestano con attacchi di panico);
  • a livello emotivo, dove si fa sempre più persistente un atteggiamento negativo verso sé, il lavoro e la vita nel suo complesso.

Nel burnout vengono riconosciute due forme di stress, distinte, in base ai fattori scatenanti, in: una “soggettiva”, legata alla motivazione ed alle immagini ideali dell’individuo, ed una “oggettiva” a cui fanno riferimento:

  • le condizioni materiali di lavoro, determinate da sovraccarico di lavoro e mancanza di controllo;
  • le ambiguità di ruolo;
  • le strutture di relazione.

La medicina del lavoro ha evidenziato che il clima di gruppo, le comunicazioni interpersonali e la soddisfazione individuale sono cause fondamentali di fatica, e al contempo la ragione del conseguente calo motivazionale e di efficienza lavorativa.
Il burn out viene riscontrato soprattutto tra gli operatori che lavorano a contatto diretto con situazioni di sofferenza. Nell’ambito della cura dei pazienti, un caso emblematico è rappresentato dalla figura professionale dell’infermiere, che tende a “bruciarsi” prima del medico, poiché opera a stretto contatto con eventi, quali malattia e morte, ed esperienze emotive, come il dolore, che ne rendono inevitabile il coinvolgimento per un periodo di tempo più lungo.

 

Quali categorie di lavoratori ne sono interessate?

 

Secondo Maslach, autrice anglo-americana:
“Una sindrome da esaurimento emotivo, da spersonalizzazione e riduzione delle capacità personali che può presentarsi in soggetti che per professione si occupano della gente”.

Il sovraccarico emotivo che l’individuo subisce svilupperà in lui una risposta cinica e disumanizzata, la cosiddetta “spersonalizzazione”. Le persone divengono così “oggetti” da cui prendere distanza.

Gli studiosi della psicologia del lavoro sottolineano come il contesto sociale e lavorativo sia in grado di attivare forme di stress, sia dal punto di vista comportamentale che dal punto di vista fisiopatologico. La gestione del lavoro, la burocratizzazione, il ruolo e le relazioni lavorative sono tutte componenti capaci di provocare i sintomi della sindrome: apatia, perdita di entusiasmo, senso di frustrazione, perdita dei sentimenti positivi verso l’utenza e la professione, impoverimento delle relazioni, utilizzo di un modello lavorativo stereotipato fatto di procedure standardizzate e rigide, difficoltà ad attivare processi di cambiamento.

 

Una delle cause: il MOBBING

 

Il lavoro, per come viene inteso oggi nella gran parte delle organizzazioni, reca ansia e rappresenta il responsabile dell’insorgenza dello stress negli individui che in esse lavorano. Predomina il senso di precarietà ed incertezza per il futuro ed a pagarne le conseguenze, oltre all’individuo stesso, sarà la Società, dominata dal “male” comune, definito come “MOBBING”, termine introdotto in psicologia del lavoro da Heinz Leymann.

Identifica un comportamento ripetuto, immotivato, rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la sicurezza e la salute, sia in senso fisico che mentale.”

I tipi di mobbing più comuni sono: Mobbing emozionale, scatenato tra singole persone, più frequentemente tra capo e collaboratore (bossing) ma anche tra colleghi (mobbing orizzontale) e Mobbing strategico, attuato intenzionalmente dall’impresa.

Il bossing è prevalente nella pubblica amministrazione. L’obiettivo è di isolare la persona che si ritiene presenti una minaccia od ostacolo al raggiungimento dei propri obiettivi, riguardo all’acquisizione di potere.

Il mobbing orizzontale nasce dal senso di competitività che si genera tra gruppi d’individui, a causa delle difficoltà del mercato del lavoro, l’alto tasso di disoccupazione, esiti lavorativi incerti dei contratti atipici, la mancanza di trasparenza nello sviluppo di carriera.

Per mobbing strategico, si intende invece quella forma di pressioni psicologiche esercitate strategicamente dalle imprese per allontanare dal mondo del lavoro i soggetti scomodi. Le azioni mobizzanti possono attaccare la comunicazione, le relazioni sociali, l’immagine sociale, la qualità delle condizioni e delle mansioni lavorative, ricadendo gravemente sulle persone coinvolte. I soggetti in questione possono sviluppare disturbi d’ansia e dell’umore (disturbi del sonno, dell’apparato digerente, cefalee e problemi muscolo scheletrici, perdita dell’autostima e del desiderio sessuale, depressione…) con il progressivo indebolimento delle difese psichiche soggettive che comportano una cronicizzazione dello stress negativo, predisponendo a disturbi psicosomatici, di adattamento e disturbi post-traumatici da stress e depressione.

 

La sindrome da corridoio

 

Causata dallo stress è anche la “Sindrome da corridoio”. Il passaggio dall’ambiente lavorativo a quello privato e viceversa crea “un corridoio” senza soluzione di continuità tra gli stimoli propri dell’ambiente di lavoro e quelli della vita privata o familiare.

Evidentemente, questo fenomeno ha conosciuto un notevole aumento a causa delle condizioni lavorative impostesi nell’era Covid: molto spesso, infatti, si lavora da casa, non riuscendo così a distinguere la vita privata da quella lavorativa, e, per giunta, con ritmi più serrati e per quantità di tempo maggiori.

Quindi sempre più spesso si verificano situazioni in cui la famiglia genera o amplifica le tensioni fisiche, emotive, comportamentali, restituendole nel contesto lavorativo. Allo stesso modo, le tensioni lavorative vengono trasportate nella vita privata, non strutturata per compensarle, e quando tali tensioni assumono carattere di cronicità e di eccesso possono provocare rotture comunicative e quindi incomprensioni, frustrazioni, solitudine ed aggressività, ricadendo nell’ambiente lavorativo.

Sintomi fisici, psico-emozionali e comportamentali del lavoratore stressato sono la base per lo sviluppo di situazioni morbose ed infortuni che ricadono inevitabilmente sulla produttività, sull’equilibrio organizzativo dell’azienda, sulla sicurezza del personale, sull’immagine interna ed esterna dell’azienda, oltre che sulla spesa sociale e sanitaria.

 

Come rispondere a questo problema?

 

La risposta efficace a questa problematica risulta quindi la Prevenzione.

Primaria, per impedire l’insorgere di nuovi casi di patologie stress correlate. A tal fine è importante ottimizzare gli ambienti e gli orari lavorativi, promuovere una cultura d’impresa che solleciti la dignità umana, attuare condizioni di lavoro trasparenti, favorire la partecipazione e la condivisione degli obiettivi o del progetto dell’organizzazione, valorizzare le risorse umane attraverso programmi adeguati di formazione, progettare compiti lavorativi individuali, informare e formare sullo stress.
Secondaria, come diagnosi precoce di quei sintomi responsabili di un evidente cambiamento da una condizione psicofisica normale (diagnosi che necessita, comunque, del consenso del lavoratore ad accettarne la presenza) ed infine terziaria con l’istituzione di protocolli di riabilitazione supportati da competenza sanitarie specifiche.
Un’adeguata prevenzione, favorirà oltre che l’individuo anche l’organizzazione in quanto a minor assenteismo, minor numero di infortuni e di errori, migliorando la qualità dei beni o servizi erogati e l’immagine dell’azienda stessa.

 

Ma che cosa si può fare quando è troppo tardi?

 

Può infatti accadere che, il lavoratore riconosca questa condizione quando ormai è già insorta, e, pur tentando di uscirne, non riesca a mettere in atto strategie che gli permettano di concentrare i propri pensieri su questioni e attività diverse da quelle lavorative. In questi casi, allora, può rendersi necessario il supporto di uno psicologo, che dopo qualche seduta sarà in grado di proporre la terapia più adeguata a seconda della situazione clinica e terapeutica del paziente.

il corso di gestione dello stress rappresentano un’importante risorsa per aiutare i lavoratori a fronteggiare le sfide legate allo stress da lavoro. Questi corsi offrono una serie di strumenti, tecniche e strategie per comprendere, gestire ed evitare lo stress. Durante tali corsi, i partecipanti imparano a riconoscere i segnali precoci dello stress, a sviluppare abilità di gestione emotiva e a migliorare le proprie capacità di resilienza. Inoltre, vengono fornite informazioni sulla promozione del benessere psicologico e sulla creazione di un ambiente lavorativo più sano. I corsi di gestione dello stress sono un investimento prezioso per le organizzazioni, in quanto possono contribuire a ridurre l’assenteismo, migliorare la produttività e promuovere un clima lavorativo positivo.