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Rischio microclima negli ambienti di lavoro

Tra i molteplici tipi di rischi cui si può andare incontro sul luogo di lavoro i più noti sono sicuramente i rischi fisici. Nei documenti di valutazione dei rischi può capitare che il datore di lavoro ne trascuri alcuni: in particolare, non di rado si sottovalutano i rischi dovuti al microclima.

Le condizioni microclimatiche, tuttavia, sono fondamentali per la salute e la sicurezza dei lavoratori, e i parametri di regolazione vanno tenuti sempre sotto controllo e a norma di legge, compatibilmente con le esigenze della produzione.

Microclima: definizione e documentazione

La trattazione più completa sul microclima è costituita da un opuscolo pubblicato dall’INAIL nel 2018, intitolato appunto “La valutazione del microclima”. Questo manuale definisce il microclima “il complesso dei parametri climatici dell’ambiente nel quale un individuo vive o lavora”, e sottolinea come un microclima disagevole possa causare problemi anche gravi per chi vi è esposto, fino alla compromissione delle funzioni vitali (specie se l’individuo è malato o predisposto).

Tuttavia, i rischi legati al microclima non sono stati tenuti nella necessaria considerazione fino all’approvazione della legge 626/94. Con più decisione, poi, il rischio dovuto al microclima è stato inserito nella categoria dei rischi fisici nell’art. 180 (titolo VIII, capo I) del decreto legislativo 81/08, il testo unico sulla sicurezza e sulla salute nei luoghi di lavoro.

Il decreto obbliga il datore di lavoro a inserire nel DVR anche i fattori microclimatici, così come a prevenire gli eventuali rischi a essi collegati mediante formazione degli operatori e manutenzione del sistema di termoregolazione, dei servizi e degli strumenti di ventilazione, eccetera.

Una sezione del medesimo decreto (allegato IV sui luoghi di lavoro, punti 1.9.2 e 1.9.3) specifica ulteriormente quando un luogo di lavoro va considerato in conformità alla legge dal punto di vista microclimatico, e quali sono gli accorgimenti da considerare.

In linea di massima, occorre tener conto del rapporto tra le caratteristiche dell’individuo (metabolismo e dispendio energetico, dipendente anche dall’alimentazione, e abbigliamento) e quelle del clima d’esposizione (temperatura, umidità, velocità dell’aria). Questa interazione può generare un effetto meramente percettivo (comfort o discomfort) ma può anche avere un esito più grave.

La normativa vigente, dunque, richiede di esercitare una particolare cura nel rapporto tra lavoratore e microclima, tentando di raggiungere un equilibrio (o bilancio termico) che favorisca il benessere termico degli individui.

La valutazione del rischio da microclima

Il medesimo decreto, però, non disciplina le questioni legate al rischio da microclima nei dettagli, a differenza degli altri rischi fisici. Di conseguenza si può ricorrere al succitato opuscolo INAIL per trarre le informazioni fondamentali in merito.

Prima di tutto occorre operare alcune distinzioni tra i tipi di microclima presenti nei luoghi di lavoro.

  • Esistono ambienti moderati, in cui il rapporto tra microclima e organismo è equilibrato, e ambienti severi, nei quali lo squilibrio termico comporta rischi per il soggetto, malattie o una generica sensazione di disagio.
  • A loro volta, gli ambienti severi possono essere divisi in ambienti moderabili, in cui nulla pregiudica il raggiungimento di una condizione di comfort, e ambienti non moderabili, dove in funzione di esigenze produttive (es. rispetto della catena del freddo) o di protezione (es. indossare una pesante tuta protettiva) è impossibile raggiungere l’equilibrio, e s’impone piuttosto la ricerca di una condizione di sicurezza e tutela della salute.
  • Infine, naturalmente, si possono distinguere ambienti termici severi caldi o severi freddi.

Per quanto riguarda gli ambienti moderabili, dunque, non sussiste un vero rischio, ma solo dei disagi da prevenire, in quanto possibili fonti di stress e altri rischi trasversali, pur gestibili dal nostro sistema termoregolatore.

Per la valutazione dei rischi da microclima in questi ambienti occorre rifarsi alla norma ISO 7730, che a questo scopo impone a enti e aziende delle precise linee guida.

Dopo aver misurato i principali parametri ambientali e microclimatici (temperatura, umidità, velocità dell’aria), vanno calcolati gli indicatori sintetici di comfort: il voto medio previsto (Predicted Mean Value, PMV) e la percentuale prevedibile di insoddisfatti (Predicted Percentage Dissatisfied, PPD). Tenendo anche conto degli aspetti soggettivi (energia e attività metabolica, isolamento termico dell’abbigliamento), si potrà stimare il modo migliore per rendere moderato l’ambiente.

Quanto agli ambienti vincolati, invece, occorre distinguere ancora tra caldi e freddi.

  • Le norme ISO 7243 e 7933 forniscono due metodologie per la valutazione microclimatica degli ambienti vincolati caldi. La più semplice richiede di calcolare l’indice WBGT (Wet-Bulb Globe Temperature, temperatura del globo a bulbo umido) a partire dai già citati parametri di natura soggettiva e ambientali; in caso di superamento del grado di sicurezza, si ricorre alla più complessa, utilizzando l’indice PHS (Predicted Heat Strain, stress termico previsto).
  • Per gli ambienti vincolati freddi si fa invece riferimento alla norma ISO 15743 e, soprattutto, 11079. Quest’ultima per valutare il microclima utilizza il calcolo dell’indice IREQ (Isolation Required, isolamento richiesto), che stabilisce come dev’essere l’abbigliamento per garantire un livello ideale di omeotermia tra corpo umano e ambiente.

Controllo del microclima e prevenzione del rischio

Una volta appurata la presenza di un rischio microclimatico in un dato ambiente, è opportuno intervenire il prima possibile adottando le misure più adeguate all’assistenza e al supporto del lavoratore.

  • Negli ambienti moderabili, gli accorgimenti sono relativamente semplici ed economici, a meno di eventi imprevisti. La tecnica più semplice per intervenire sui valori della temperatura nella struttura è quella di installare condizionatori o impianti di riscaldamento, a seconda dello squilibrio. Per intervenire sull’umidità relativa si possono usare prodotti deumidificatori o umidificatori di qualità, mentre per la temperatura radiante, in genere dipendente da finestre poco isolate, si possono acquistare infissi schermati.
  • Negli ambienti vincolati caldi potrebbe essere sufficiente estrarre grandi quantità di aria attorno alla postazione del lavoratore, diminuendo il calore; in alternativa, anche schermi o cabine climatizzate (se installabili) dovrebbero risolvere il problema. Inoltre, i lavoratori, specie se operano all’esterno della sede o in spazi confinati durante la stagione estiva, dovrebbero avere sempre dell’acqua per evitare la disidratazione (e abbassare la temperatura corporea), la possibilità di acclimatarsi poco a poco, e il diritto di svolgere turni brevi.
  • Infine, per gli ambienti vincolati freddi, l’esigenza produttiva impedisce di riscaldare direttamente l’ambiente; perciò, si può intervenire soprattutto con un vestiario che limiti gli scambi termici. È anche bene evitare il vento dei flussi d’aria diretti puntandoli al suolo, e garantire al lavoratore del tempo per acclimatarsi e l’accesso costante a cabine riscaldate che permettano di ridurre la permanenza nell’area fredda al minimo indispensabile per il lavoro.