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L’Art. 2 DPCM 25 febbraio 2020 estende il c.d. lavoro agile a tutte le zone a rischio: alcuni consigli operativi

Di seguito un breve vademecum per la gestione del c.d. “smart working”.

L’art. 2 DPC 25 febbraio 2020 dispone l’applicazione automatica senza necessità di accordi individuali nelle zone a rischio “Coronovarus” del c.d. “Smart Working”. Ma di che cosa si tratta?

Con la L. n. 81/2017 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato) è stato introdotto in Italia per la prima volta il c.d. “lavoro agile”.

Secondo quanto previsto dall’art. 18 L. n. 81/2017 si tratta di una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Nella sostanza, con l’emergenza sanitaria attuale si è resa automatica l’applicazione del precedente articolo nelle zone a rischio, senza la necessità di uno specifico accordo con i propri dipendenti circa le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa.

Ricordiamo che lo smart working non deve essere confuso con il telelavoro. Il telelavoro ha in comune con lo smart working unicamente la distanza della sede lavorativa. È, infatti, previsto in caso di telelavoro l’obbligo da parte del datore di lavoro di eseguire ispezioni per assicurare la regolarità dello svolgimento della prestazione lavorativa, e un adeguato isolamento del dipendente da possibili fattori di rischio esterni.

Il c.d. “lavoro agile” viene concepito, invece, come una differente modalità di esecuzione della prestazione lavorativa decisa di concerto con il datore di lavoro e disciplinata in un accordo scritto.

Ricordiamo che ai sensi dall’art. 22 L. n. 81/2017 il dipendente è responsabile della custodia degli strumenti e della riservatezza dei dati aziendali al pari di chi lavora in azienda.

Alla luce della precedente disposizione le attività da porre in essere per garantire il rispetto della normativa vigente in materia di privacy e trattamento dati personali sono molteplici.

Preliminarmente sarà sempre necessario dotarsi di una Policy specifica per disciplinare lo smart working e condividere le medesime regole di condotta con tutti i dipendenti. Le regole da seguire saranno molteplici:
– connettersi alla rete aziendale sono tramite reti sicure;
– utilizzare solo i devices forniti dall’azienda, salvo specifiche autorizzazioni;
– utilizzare unicamente i software forniti dall’azienda;
– utilizzare sistemi di autenticazione specifici.

Queste sono alcune delle regole da seguire, ma ricordiamo che la maggior parte dei rischi informatici sono correlati all’errore umano e quindi sarà sempre opportuno formare i lavoratori circa i rischi privacy connessi allo svolgimento della prestazione lavorativa con modalità differenti ed in un luogo diverso.

L’esecuzione della prestazione lavorativa con modalità differenti non fa cessare il potere del datore di lavoro di controllare la prestazione lavorativa dei propri dipendenti.

Ricordiamo, tuttavia, che ai sensi dell’art. 4 Stat. Lav. (L. n. 300/1970) sono vietati: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali”.

Pertanto, sono vietati tutti quei software che permettono il tracciamento sistematico e continuativo degli accessi da parte del lavoratore e delle sue attività.

Il controllo periodico dei devices affidati al dipendente è permesso ma questo non deve arrivare al monitoraggio regolare e sistematico della prestazione lavorativa.