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DPI e Mascherine: come funziona la protezione delle vie respiratorie dal contagio da Covid-19

In questa sezione dedichiamo un breve approfondimento approfondimento all’approccio critico e analitico sui dispositivi di protezione da usare in emergenza pandemia per la sicurezza sul lavoro, e non solo.

Breve descrizione dei presidi: mascherine chirurgiche e facciali filtranti

La prima distinzione da fare è tra le cosiddette “mascherine chirurgiche” e i “facciali filtranti”: infatti, sebbene entrambi siano utilizzati dal personale sanitario, soltanto le prime possono dirsi effettivamente dei dispositivi medici, mentre i secondi sono dei dispositivi di protezione personale (DPI).

Stando alla normativa di riferimento (vale a dire il D.lgs. 24 febbraio 1997, n. 46), le “mascherine chirurgiche” sono “presidi ad uso medico” che devono essere prodotti conformemente alle direttive comunitarie (o se si preferisce, alla norma EN 14683, vale a dire la norma nazionale con cui le direttive sono state recepite) e quindi certificati mediante la marcatura CE, prima di essere messi in servizio.

Questi presidi hanno come funzione essenziale quella di proteggere il paziente dalla contaminazione che può provenire dalla vociferazione e, in genere, dall’emissione di gocce di saliva, ovvero dalle gocce che possono essere emesse dall’operatore che le indossa mentre attua le procedure sanitarie.

Il materiale di cui sono costituite è, a tutti gli effetti, un filtro concepito per conferire loro una buona resistenza agli schizzi liquidi, e così fare da ostacolo alla penetrazione dei microrganismi, ma è bene ricordare che, nonostante la sua comprovata efficacia, l’assenza di una specifica capacità di aderenza al volto non impedisce che il contaminante possa raggiungere le vie respiratorie del portatore, facendosi largo attraverso gli spazi liberi lasciati tra il bordo della maschera e il viso.

I “facciali filtranti” sono prodotti conformemente alla norma EN 149 e ai sensi di quanto previsto dal D. lgs. 4 dicembre 1992, n. 475, perciò proprio come le mascherine chirurgiche è necessario che siano certificati mediante la marcatura CE.

Come già anticipato, i facciali appartengono alla categoria dei “Dispositivi di Protezione Individuali”. Queste tipologie di mascherine sono quasi interamente costituite da un materiale filtrante e possono possedere o meno una valvola di espirazione, perché la loro funzione è quella di proteggere le vie respiratorie del portatore dagli agenti esterni (siano questi aerosol solidi o liquidi).

Sono meglio note come FFP (abbreviazione dell’espressione inglese filtering facepieces) e si distinguono in tre classi, in ordine di protezione crescente: FFP1, FFP2 e FFP3. Non proteggono da gas e vapori e, ai fini della protezione da microrganismi, possono essere considerate idonee solo FFP2 e FFP3.

Approfondimenti sulle misure in emergenza: mascherine chirurgiche come DPI per le vie respiratorie

Occorre fare una precisazione molto importante: per tutta la durata dell’emergenza, le disposizioni contenute nel D.L. n. 18/2020, cosiddetto “Cura Italia”, (e nello specifico all’articolo 16, comma 1) consentono di equiparare le mascherine chirurgiche ai DPI per le vie respiratorie, al posto dei quali possono essere impiegate all’interno dei luoghi di lavoro.

Ma questa non è l’unica disposizione a cui sia stato necessario ricorrere per fronteggiare questo periodo: infatti, il comma 2 dell’articolo 16 del Decreto legittima anche l’utilizzo di quelle mascherine che, di fatto, non possono essere qualificate né come mascherine (dpi) né come facciali filtranti.

Stando alle disposizioni contenute nel Decreto, questa tipologia di mascherina non deve essere sottoposta alle procedure di validazione e autorizzazione dell’autorità competente (in questa fattispecie i soggetti competenti sono due: l’Istituto Superiore di Sanità e l’INAIL), né deve essere certificata mediante la ben nota marcatura CE, perché ogni responsabilità inerente alla sua sicurezza ricade sul suo produttore. Quest’ultimo è tenuto a realizzare il prodotto nel rispetto degli standard necessari a garantire la salute e sicurezza dei consumatori (il che comporta, ovviamente, l’uso materiali adeguati alla fabbricazione e il test del prodotto finito) e ad informare questi ultimi mediante apposita documentazione, secondo quanto previsto dal Codice del Consumo.

Obbligo di utilizzo di DPI nei luoghi di lavoro: istruzioni per le aziende e le imprese

Ciò detto e, ai soli fini di protezione dal contagio dal virus SARS-COV-2, essendo primaria la misura del distanziamento sociale di 1 m, nei luoghi di lavoro l’obbligo di indossare il DPI residua nei soli casi in cui tale distanza minima non possa oggettivamente essere mantenuta. Trattandosi di DPI – che siano mascherine o facciali filtranti – la loro funzione è, e resta, quella della prevenzione dai rischi residui, ossia da quelli che permangono solo dopo che altre misure di protezione collettiva (il distanziamento sociale in primis) non sono attuabili o sufficienti.

Cosa succede se alcuni lavoratori non indossano né DPI né mascherine chirurgiche?

E come comportarsi in quei casi in cui alcuni lavoratori non indossino né DPI né mascherine chirurgiche? Questa situazione semplicemente non può essere contemplata (e di fatto non viene contemplata in alcuna comunicazione ufficiale), poiché laddove non possa essere garantito il distanziamento sociale, deve essere garantita la protezione individuale. In alternativa (e senza eccezioni) l’attività non può essere eseguita.

E per chi non è un lavoratore, quale protezione è richiesta? DPI e mascherine…E comuni cittadini

Per i comuni cittadini occorre ricordare che il Ministero della Salute, conformemente alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, prevede che le mascherine debbano essere indossate solo:

  • se si è infetti;
  • se si deve assistere a distanza ravvicinata una persona contagiata.

Queste indicazioni sono allineate alle evidenze scientifiche e hanno anche la funzione di razionalizzare la disponibilità sul mercato delle mascherine.

DPI e mascherine: istruzioni per l’uso

Nonostante l’uso dei DPI e delle mascherine sia in apparenza semplice e intuibile, così non è. Non a caso, vale la pena ribadirlo, il D.Lgs. n. 81/2008 prevede l’addestramento per le semimaschere filtranti.

Il rischio è quello di indossarle male: abbiamo visto tutti, in televisione o per strada, persone e persino rappresentanti delle istituzioni che indossavano la mascherina sulla bocca lasciando scoperto il naso, vanificando la protezione offerta.

Ma c’è anche il rischio di contaminarsi per contatto, toccandole e poi, ad esempio, stropicciandosi gli occhi o, persino, di usarle per tempi indefiniti, a causa soprattutto della loro indisponibilità.

Inoltre, chiunque in questi giorni sia andato a fare la spesa al supermercato, avrà notato che i portatori di mascherina hanno la tendenza a pensare di non essere in grado di trasmettere il contagio, con ciò non rispettando la distanza sociale. Essi, inoltre, tendono ad abbassare il livello di attenzione, col rischio di contagiare sé stessi con comportamenti a rischio.

Questi e altri motivi – estremamente sottovalutati – devono indurre il cittadino a ricordarsi che le prime, fondamentali e principali forme di tutela per sé e per gli altri sono:

  • il distanziamento sociale;
  • il lavaggio delle mani.

Dato che c’è l’obbligo di osservare entrambe tali misure, la protezione individuale deve essere intesa come una isura di prevenzione ulteriore, ma non strettamente necessaria allo stato attuale delle evidenze scientifiche.

Ciò detto e senza contraddire quanto appena espresso, l’impiego delle mascherine potrà diventare una formidabile forma di contrasto della diffusione quando saranno disponibili per tutti.