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Un’azienda può conservare i dati del dipendente anche dopo il licenziamento per far valere i suoi diritti

La nostra Costituzione enuncia i diritti e le libertà fondamentali in forma di principi assoluti, ovvero dettando norme giuridiche che presentano i caratteri di genericità e astrattezza. Nell’applicazione concreta di una norma giuridica è tuttavia possibile che essa entri in conflitto con altra norma di pari valore circa i differenti interessi costituzionalmente garantiti.

In particolare, in ambito giuslavoristico, il diritto alla protezione dei dati personali, che qui ci interessa, si colloca in un delicato sistema di bilanciamento con altri diritti, primo fra tutti il diritto di difesa in giudizio. Come più volte ricordato dal Garante della privacy[1]  infatti nel contesto professionale convivono due contrapposti interessi:

: da una parte il diritto del lavoratore alla riservatezza dei  suoi dati personali e alla loro tutela, dall’altra la possibilità per le aziende di conservarli e utilizzarli nell’ambito di eventuali contenziosi penali e/o civili.

Di tale bilanciamento prende atto anche il Regolamento europeo 679/2016 che al considerando 4 stabilisce chiaramente che “Il trattamento dei dati personali dovrebbe essere al servizio dell’uomo. Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. […]”.

Un ruolo chiarificatore sull’importanza di tutelare l’interesse alla protezione dei dati personali senza pregiudicare l’esercizio del diritto di difesa in giudizio – riconosciuto dalla Costituzione all’art. 24 – viene dalla giurisprudenza (sia di legittimità che di merito) che più volte ha ribadito il principio in base al quale “il diritto di difesa in giudizio prevale sul diritto alla riservatezza dei dati personali, qualora tali dati siano necessari per finalità di tutela giudiziale, seppur in presenza di determinate condizioni”.[2]

In altre parole, come chiaramente affermato anche dal Garante privacy, la produzione in giudizio di documenti, reperti e strumenti elettronici contenenti dati personali è consentita nelle ipotesi in cui sia necessaria per esercitare il diritto di difesa. Tale facoltà di difesa in giudizio mediante l’utilizzo degli altrui dati personali deve però sempre essere esercitata nel rispetto del combinato disposto degli artt. 5 e 6 del Reg. UE 679/2016. Ai sensi di tali articoli, infatti, i dati personali trattati dal datore di lavoro, e utilizzati in caso di difesa in giudizio, devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono stati acquisiti e trattati.  Si conclude dunque sottolineando che, nel valutare se debba e/o possa essere disposta la produzione di un documento contenente dati personali del lavoratore, il giudice deve prendere in considerazioni gli interessi delle parti coinvolte e ponderarli in funzione delle circostanze di ciascun caso di specie. A tal fine deve necessariamente tener conto sia delle esigenze derivanti dal principio di proporzionalità che quelle derivanti dal principio di minimizzazione dei dati di cui all’art. art. 5 del Regolamento UE 679/2016.

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[1] Si veda Provvedimento del 23 dicembre 2010 consultabile al seguente link: https://www.frareg.com/cms/wp-content/uploads/history/news/legislazione/privacy/provvedimento_23122010.pdf

[2] Cfr. Cassazione civile n. 33809/2021