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Tracciamento dei cittadini: possibile anche in Italia?

Continua il dibattito sulla misura adottata in Lombardia, ma fino a dove possiamo spingerci per tutelare la salute collettiva?

Ritorniamo sul tema della geolocalizzazione dei cittadini per limitare il diffondersi del contagio. La tecnologia può effettivamente essere utile per arginare l’attuale pandemia, ma fino a dove possiamo spingerci?

Ricordiamo a tutti che le esperienze straniere possono sicuramente offrire degli utili spunti per sconfiggere un problema a cui nessuno era preparato. Tuttavia, vanno contestualizzati al proprio sistema di riferimento. L’Italia rimane una democrazia.

In Corea del Sud, ad esempio, sono stati mappati tutti i contagiati e diffusi i loro nominativi con correlata geolocalizzazione della posizione.

La Cina ha provveduto a “schedare” ciascun cittadino.

A Singapore, sono stati mappati gli spostamenti di ogni residente.

La situazione in Italia è del tutto differente, e si auspica che permanga l’attuale impianto di tutele. La Lombardia ha provveduto a monitorare, in forma aggregata, le celle a cui i vari dispositivi vengono connessi, ma ribadiamo: in forma anonima e aggregata.

Attualmente non è effettivamente praticabile quanto implementato in Asia: l’Italia rimane uno Stato democratico, e soprattutto, con una popolazione prevalentemente anziana. È inimmaginabile costringere un ottantenne ad usare uno smartphone per essere monitorato.

Per quanti riguarda il trattamento dei dati aggregati riguardanti la geolocalizzazione dei cittadini (anonimi) trova applicazione la Direttiva 2002/58/CE [1] in materia di Trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (c.d. Direttiva e-privacy).

L’art. 9 (Dati relativi all’ubicazione diversi dai dati relativi al traffico) precisa che: “Se i dati relativi all’ubicazione diversi dai dati relativi al traffico, relativi agli utenti o abbonati di reti pubbliche di comunicazione o servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico possono essere sottoposti a trattamento, essi possono esserlo soltanto a condizione che siano stati resi anonimi o che l’utente o l’abbonato abbiano dato il loro consenso, e sempre nella misura e per la durata necessaria per la fornitura di un servizio a valore aggiunto. Prima di chiedere il loro consenso, il fornitore del servizio deve informare gli utenti e gli abbonati sulla natura dei dati relativi all’ubicazione diversi dai dati relativi al traffico che saranno sottoposti a trattamento, sugli scopi e sulla durata di quest’ultimo, nonché sull’eventualità che i dati siano trasmessi ad un terzo per la prestazione del servizio a valore aggiunto. Gli utenti e gli abbonati devono avere la possibilità di ritirare il loro consenso al trattamento dei dati relativi all’ubicazione diversi dai dati relativi al traffico in qualsiasi momento”.

Pertanto, nell’eventualità che venissero previste misure come quelle paventate è la stessa normativa europea ad imporre il consenso dell’Interessato o il trattamento in forma anonima.

Sono, logicamente, previste delle deroghe in caso di emergenza, ma sarà sempre necessario un provvedimento del Parlamento, o controllato dal Parlamento (Legge o atto avente forza di legge), e non del Governo (Decreti) che le autorizzi.

Attualmente le uniche deroghe previste alla disciplina ordinaria sono quelle in materia di trattamento dei dati sanitari e adempimenti connessi alla gestione dell’emergenza (art. 14, DL n. 14, 2020). In questi casi le strutture ospedaliere sono autorizzate a comunicarsi i dati degli infetti con adempimenti meno rigorosi di quelli ordinari[2].

Restiamo in attesa dei prossimi sviluppi.

[1] https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32002L0058&from=IT

[2] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/09/20G00030/sg