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Il diritto all’oblio alla luce delle recenti pronunce della Corte di Giustizia Europea

Nell’era digitale in cui viviamo siamo tutti portati a diffondere su internet, soprattutto tramite motori di ricerca e social networks, notizie, immagini e video relativi alla nostra persona o a soggetti terzi. Tutte i contenuti digitali presenti in rete subiscono una diffusione globale duratura, per non dire perpetua; a distanza di anni è infatti semplicissimo risalire a notizie relative ad un soggetto specifico. Il problema che si pone, dunque, è che quelle notizie, pur essendo vere, possono a posteriori essere considerate pregiudizievoli dal diretto interessato e lesive della sua reputazione. Si pensi, ad esempio, a notizie relative a vicende giudiziarie dove ad una prima sentenza di condanna è seguita in via definitiva una assoluzione: in questo caso il diretto interessato potrebbe avere interesse a che in rete non rimangano notizie della sua iniziale condanna e, proprio per questo, potrebbe rivendicare l’applicazione del diritto all’oblio.

Il diritto all’oblio è, quindi, il diritto ad “essere dimenticato”. Tale diritto deve essere rispettato sia da singoli Titolari del trattamento che su richiesta dell’interessato sono tenuti a cancellare i dati di cui siano in possesso sia da parte di motori di ricerca, siti internet e social networks che in seguito ad eventuali richieste saranno tenuti a deindicizzare la notizia. Nel caso di notizie in rete reperibili tramite motore di ricerca, non si può di fatti parlare di vera e propria cancellazione ma di deindicizzazione ovvero di rimozione del link relativo alla notizia e del reperimento di essa nei siti o nelle pagine delle banche dati dei motori di ricerca.

Il diritto all’oblio nell’Unione Europea è stato sancito per la prima volta, prima di essere poi inserito all’art. 17 del GDPR, dalla stessa Corte di Giustizia con la famosa decisione “Google Spain” del 2014. In tale occasione Google aveva dovuto cancellare, dalle versioni operative dei singoli paesi UE ma senza intervenire fuori dall’UE, le notizie relative ad un cittadino spagnolo risalenti a dieci anni prima e reperibili tramite la funzione ricerca di Google in quanto pubblicate sul sito del giornale La Vanguardia.

Una volta consacrato il diritto all’oblio, si è recentemente posto il problema della sua estensione extra comunitaria: deve Google garantire, dietro richiesta dell’interessato cittadino europeo, la deindicizzazione dei dati che lo riguardano anche oltre i confini dell’Unione Europea? La risposta è recentemente arrivata dalla Corte di Giustizia Europea inseguito ad un ricorso presentato da Google. Il motore di ricerca dopo essere stato multato dal Garante Privacy francese per aver negato la cancellazione di alcuni contenuti relativi ad un utente e reperibili su scala globale si è rivolto alla Corte. La Corte Europea ha ribaltato la decisione del Garante francese: Google non deve garantire fuori dall’Europa il cosiddetto diritto all’oblio; la deindicizzazione dovrà quindi avvenire solo sulle versioni del motore di ricerca che corrispondono agli Stati membri UE.

Pochi giorni dopo la sentenza che ha interessato Google, la Corte di Giustizia si è espressa nuovamente in materia di diritto all’oblio. La decisione stavolta ha coinvolto Facebook e ha “ribaltato” la nozione di estensione territoriale del diritto all’oblio, estendendolo oltre i confini europei. La decisione è arrivata dopo che Eva Glawischnig-Piesczek, ex leader del Partito verde austriaco, ha cercato di far rimuovere a Facebook commenti denigratori su di lei.

Secondo la direttiva n. 2000/31/CE sul commercio elettronico un prestatore di servizi di hosting come Facebook non è responsabile dei contenuti pubblicati qualora non sia a conoscenza della loro illiceità nè ha un obbligo generale di sorvegliare sulle informazioni memorizzate. Tuttavia, con la sentenza della Corte Europea viene proposta una interpretazione della Direttiva che mette in luce una responsabilità delle piattaforme rispetto ai contenuti pubblicati dagli utenti a livello mondiale. Di fatti la Corte di Giustizia ha sancito che: i prestatori di servizi di hosting devono, su richiesta dei singoli Stati, rimuovere i post che esprimono odio e quelli dichiarati illeciti nonché quelli il cui contenuto sia identico a quello di un’informazione precedentemente dichiarata illecita sia all’interno dell’UE che fuori dall’UE.

Si prospetta quindi che i Social Network come Facebook dovranno osservare i divieti imposti dagli Stati sui contenuti di pubblicazione ritenuti illegali anche oltre i confini dell’Unione, eliminando anche commenti “equivalenti” a quelli denunciati. La questione rimane aperta e si rimanda ai singoli Stati.