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Utilizzo dei DPI

Gli obblighi del datore di lavoro non si fermano alla fornitura dei dispositivi di protezione individuale e all’informazione sul loro corretto utilizzo, ma riguardano anche il controllo dell’osservanza da parte dei lavoratori delle norme vigenti e dell’uso consono dei dispositivi forniti. Gli articoli di legge che obbligano i lavoratori ad utilizzare i dispositivi forniti possono al più individuare una corresponsabilità dei lavoratori, ma non a deresponsabilizzare il datore di lavoro dai propri obblighi.

Ciò proprio perché il datore di lavoro, oltre a fornire gli idonei dispositivi di protezione individuale, deve pretendere e imporne l’uso e inoltre ‘vigilare’ affinché questi vengano effettivamente utilizzati. Questo corrisponde infatti alla richiesta di ‘fare cultura antinfortunistica’, dando anche una formazione adeguata sull’uso dei dispositivi di protezione forniti.

Si deve ricorrere anche alle sanzioni disciplinari nei confronti dei lavoratori che non usino i dispositivi forniti; non basta in questo senso il riprendere in più occasioni il dipendente inottemperante, “senza adottare più decisi provvedimenti atti ad evitare comunque la violazione delle norme di sicurezza”.

L’imposizione della sicurezza spesso è difficoltosa da parte del datore di lavoro, vuoi per la sovente assenza di manodopera specializzata che abbia già una propria cultura della sicurezza, oltre ad una indispensabile esperienza nel settore di competenza, vuoi per il bisogno di questa manodopera; tutto ciò rende più ‘flessibile’ in tema di sicurezza il datore di lavoro.

Questo non lo libera da un giudizio di colpevolezza nel caso un infortunio nascesse, per esempio, dall’inadempienza del dipendente nell’uso delle scarpe antinfortunistiche, essendo questa una situazione che sottopone il lavoratore a rischio permanente e ‘conoscibile’ al datore di lavoro. Per evitare tale situazione egli dovrà preventivamente applicare una sanzione al lavoratore, che in caso di persistenza nel rifiutare l’uso del DPI può essere anche licenziato, compatibilmente con le modalità sanzionatorie previste dall’art.7 del D.Lgs. 300/1970.

Se venisse infatti accettato il rifiuto senza motivazione plausibile di un lavoratore ad indossare un dispositivo di protezione individuale cadrebbe tutta la struttura legislativa della tutela della sicurezza e della salute del lavoro subordinato non rendendo possibile la completa esercitabilità dei diritti economici, decisionali e sanzionatori di cui il datore di lavoro dispone per garantire le tutela dei propri dipendenti.

Quando invece sussista un motivo sanitario per cui viene richiesto di essere esentati dall’uso del dispositivo di protezione individuale, tramite presentazione di certificato medico che attesti il rischio di aggravamento di patologie esistenti, la scelta del datore di lavoro deve essere ponderata in base ad un consulto del medico competente in medicina del lavoro o, in caso l’azienda non ne sia fornita, di visita medica ai sensi dell’art.5 dello statuto dei lavoratori.

Bisogna però sottolineare che la salute fa parte di quei diritti fondamentali protetti dalla Costituzione (art.32) e quindi “diritto indisponibile”, cioè non suscettibile di essere scambiata o ceduta, anche parzialmente, mediante patti o accordi. L’esenzione da parte del datore di lavoro dall’utilizzo di un dispositivo di protezione sarebbe perciò un accordo con il lavoratore a ‘cedere’, anche se in parte, il diritto alla propria salute e ciò risulta inammissibile. Inoltre il datore di lavoro non otterrebbe da questo accordo alcuna deresponsabilizzazione in quanto le norme di prevenzione degli infortuni non possono essere derogate da accordi privati.

Sul piano pratico legalizzare tali accordi darebbe inoltre modo al datore di lavoro di ottenere dai dipendenti dei documenti che permettano di non applicare questa o altre norme antinfortunistiche.

Quindi l’unica soluzione per il datore di lavoro rimane il consultare il medico competente che, mantenendo il segreto medico, decide come muoversi: se il problema è reale bisogna indirizzare il dipendente presso un centro specializzato che realizzi o abbia a disposizione un dispositivo idoneo e tuttavia conforme alle prescrizioni. Nel caso non si trovi un dispositivo adatto non resta che valutare il cambio di mansione del lavoratore in altro reparto ove non sussista il rischio specifico che obbliga l’uso del dispositivo individuale. Ciò comporta la realizzazione di un documento da parte del medico competente di non idoneità alla mansione.

Se non fossero possibili altre mansioni per il dipendente la Cassazione ha disposto un’importante sentenza a tale proposito per il caso di un lavoratore licenziato perché non più in grado di svolgere un lavoro di movimentazione manuale di carichi: “..quand’anche il ricorso ai mezzi offerti dalle avanzate tecnologie fosse stato in grado di eliminare gravosi sforzi fisici nell’esecuzione di determinati lavori, non è configurabile l’obbligo dell’imprenditore di adottarli per porsi in condizione di cooperare all’accettazione della prestazione lavorativa di soggetti affetti da infermità, che vada oltre il dovere di garantire la sicurezza imposto dalla legge”(Cass. Civ, Sez. lavoro, n.10339/2000).

Per quanto riguarda le scarpe antinfortunistiche un caso concreto di spesa che si richiede al datore di lavoro è quella per fornire un plantare al lavoratore che utilizza il DPI per renderlo adeguato alle caratteristiche del piede del dipendente e quindi non dannoso. In questo caso non è desumibile una fonte legale necessaria ad obbligare il datore di lavoro ad acquistare un presidio del genere. Spetta perciò al lavoratore l’acquisto di tale presidio. Spetta invece alla società l’acquisto della scarpa antinfortunistica, anche se di tipo speciale e quindi individualizzata.