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Ecoinnovazione: sempre più incentivi per le tecnologie pulite

Le ecoindustrie europee costituiscono un terzo del mercato globale e rappresentano già il 2% del prodotto interno lordo UE, con un tasso di crescita annuale pari al 5%. Quest’anno la Commissione europea è impegnata nel varo di una serie di azioni destinate a stimolare l’innovazione ecocompatibile nelle imprese europee.

Il Piano d’azione per le tecnologie ambientali (ETAP) è la chiave di volta della politica UE in materia di ecoinnovazione e reca un contributo diretto al conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione. Il Piano, varato nel 2004, illustra una serie di provvedimenti, tra cui una maggior priorità da assegnare alle tecnologie pulite nel Programma quadro di ricerca e sviluppo dell’UE e la creazione delle cosiddette piattaforme tecnologiche. Queste ultime riuniscono le parti interessate, guidate dall’industria, per fissare obiettivi di ricerca e sviluppo tecnologico e per definire le mosse da compiere per conseguirli.

Il Piano d’azione è stato accolto con favore dalle parti in causa, compresi il mondo imprenditoriale, la comunità dei ricercatori e le organizzazioni non governative. Per quest’anno è prevista l’istituzione di un comitato europeo sulle tecnologie ambientali che riunirà gli attori principali allo scopo di innalzare il profilo del Piano e di definire i passi successivi.

È in corso d’opera anche l’elaborazione di un nuovo Programma sulla competitività e l’innovazione (Competitiveness and Innovation Programme, CIP) per il 2007-2013 che offra capitali di rischio e di avviamento per finanziare ricerca e sviluppo. Saranno stanziati finanziamenti anche tramite i fondi strutturali, la Banca europea per gli investimenti e il programma LIFE.

Pressione competitiva

Nel 2005, le esportazioni delle ecoindustrie comunitarie sono aumentate dell’8%, generando un’eccedenza commerciale superiore ai 600 milioni di euro. Eppure c’è ancora molto lavoro da fare se vogliamo evitare che l’Europa sia un fanalino di coda in questo campo. Il Giappone è già leader nel mercato delle auto ibride, e oltre la metà dei nuovi veicoli acquistati in Brasile nel 2005 montava motori alimentati a biocarburanti.

Sono molti i fattori che rendono più impellente la necessità di nuove tecnologie maggiormente ecocompatibili: la portata del cambiamento climatico esige fonti di energia rinnovabile in grado di generare una quantità ridotta di emissioni di gas a effetto serra, l’esaurimento delle risorse naturali e la conseguente perdita di biodiversità impongono di cercare delle alternative, mentre l’inquinamento dell’ambiente in cui viviamo (aria, acqua e suolo) danneggia la salute umana e inasprisce i costi economici legati all’assistenza sanitaria, alle assicurazioni e al calo della produttività.

L’innovazione ambientale si rivela una scelta sempre più azzeccata dal punto di vista finanziario: alcune aziende di successo calcolano che è possibile recuperare tre volte il capitale inizialmente investito nel giro di un anno.

La Commissione europea incoraggia gli appalti pubblici ecocompatibili per favorire l’espansione del mercato dei prodotti e dei servizi verdi, riesamina i sussidi che minano gli interessi ambientali e stabilisce parametri di riferimento per i prodotti e le tecnologie in modo da aumentare la fiducia e la consapevolezza dei consumatori. Tuttavia, non è possibile fare molto di più per creare un ambiente favorevole: in fin dei conti, sono le imprese che devono fare il grande passo.

Il grande pubblico

Il fatto che lo European Business Summit, tenutosi a Bruxelles nel marzo 2006, abbia dedicato un’intera sessione all’ecoinnovazione dimostra quanta strada abbiano fatto le tecnologie sostenibili. Il Commissario UE per l’Ambiente Stavros Dimas ha messo gli imprenditori di fronte a tre sfide:

– analizzare quali possibilità esistono di ottenere profitti in maniera ecocompatibile;
– iniziare a investire;
– raggiungere il grande pubblico, con annunci e strategie di marketing tesi a potenziare la domanda di prodotti ecocompatibili.

La Commissione invoca un maggior numero di “partenariati ecologici”, ovvero associazioni industriali che, sulla falsariga del World Business Council for Sustainable Development, favoriscano le joint venture e il networking tra aziende.