Consulenza e Formazione Sicurezza, Medicina Del Lavoro, Sistemi Di Gestione, Qualità, Privacy, Ambiente e Modelli Organizzativi

Decesso sul posto di lavoro, datore condannato per mancata formazione

Il datore di lavoro è condannato per omicidio colposo, reato commesso da chi cagiona la morte di un’altra persona non intenzionalmente ma per colpa, nel caso in cui il lavoratore muore sul posto di lavoro per inesperienza e imprudenza. Il datore di lavoro, infatti, avrebbe dovuto adottare ogni mezzo necessario per evitare l’evento di morte del lavoratore – come ad esempio la formazione – indipendentemente se lo stesso abbia avuto un atteggiamento imprudente nello svolgimento dell’attività lavorativa.

L’articolo 37 D.Lgs. del n. 81/2008 (Formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti) rappresenta gli obblighi fondamentali in materia. Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a:
a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza;
b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda.

Ad affermarlo sono i giudici della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27787 del 24 giugno 2019. Nel caso di specie, il lavoratore è caduto vittima della sua stessa inesperienza, in quanto muore a soli dieci giorni dall’assunzione perché adibito a compiti per i quali non è stato formato. A nulla rileva che il dipendente abbia firmato una liberatoria in cui attesta di aver ricevuto un’informazione sufficiente sul relativo utilizzo dei dispositivi di protezione individuale (DPI).

Il dipendente, nell’espletare la sua funzione lavorativa, consistente nell’abbattimento di piante, è stato travolto da un albero che egli stesso ha tagliato, causandogli la morte. La dinamica della caduta dell’albero non poteva essere preventivata dal dipendente, in quanto in precedenza ha sempre svolto il lavoro di manovale, non il boscaiolo. Nei giorni precedenti, il deceduto ha dimostrato di saper tagliare alberi, eseguendo non solo l’attività di togliere i rami alle piante.

La Corte d’Appello stabilisce che essendo un nuovo assunto egli doveva essere assegnato a sole attività di supporto, in modo tale da apprendere le tecniche e precauzioni necessarie per eseguire la propria mansione in futuro in totale sicurezza. La liberatoria firmata per la consegna dei DPI è irrilevante in quanto il compito del datore di lavoro non si ferma alla sola consegna ma deve comunque vigilare sul corretto utilizzo di tutto l’equipaggiamento fornito. Il datore impugnava la sentenza e ricorreva in Cassazione.

I giudici della Corte di Cassazione respingono il ricorso del datore di lavoro, in quanto è stato verificato che la fase formativa era del tutto carente in relazione alla prestazione lavorativa di taglio delle piante. A nulla rileva poi che nel verbale di consegna dei dispositivi di protezione individuale sottoscritto dal lavoratore quest’ultimo riconosceva di aver ricevuto una sufficiente informazione sul loro utilizzo e sui rischi della lavorazione, in quanto il giudice di Appello ha evidenziato come il datore, pur avendo ottenuto una sorta di liberatoria dai propri dipendenti in ordine alla dotazione di strumenti antiinfortunistici, di fatto aveva eluso gli obblighi sullo stesso incombenti sul luogo di lavoro.

In conclusione, la vittima compie un gesto avventato ma resta dimostrato il nesso fra la violazione antinfortunistica e l’evento morte: il datore può essere scriminato soltanto se dimostra che la condotta della vittima è abnorme. Ciò, nel caso di specie, risulta escluso: l’iniziativa del nuovo assunto non si può ritenere del tutto imprevedibile dal momento che l’ambito lavorativo prevede il taglio delle piante e la preparazione del legname ricavato con un’attività contestuale. Tra l’altro l’area del rischio da gestire obbligava all’azienda anche di impedire ai dipendenti prassi pericolose per loro stessi.