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Formazione ed informazione nei rapporti di lavoro atipici e flessibili

Apprendistato

Il nostro ordinamento (legge n. 25/1955 art. 2 comma 1) definisce apprendistato il particolare legame stipulato, nell’ambito della più ampia categoria del lavoro subordinato, in base al quale il lavoratore, qualificato con il nome di apprendista apprende quel complesso di conoscenze che gli consentiranno di acquisire il ruolo e le professionalità di lavoratore non più generico ma qualificato in virtù di quanto appreso nell’ambito di tale percorso lavorativo.
In tempi recenti, con il D.Lgs. 276/2003 è stata operata una significativa modificazione di tale testo sotto l’aspetto non solo formale ma anche e soprattutto a livello di contenuto, stabilendo che l’apprendistato avesse tutti i caratteri di un vero e proprio contratto e dove la peculiarità più evidente è rappresentata dal diritto del soggetto ad essere formato al fine di poter divenire titolare di una migliore e più alta qualifica professionale.
A titolo paradigmatico si possono delineare tre tipologie ideali nell’ambito dell’apprendistato.
La prima tipologia riprende in senso totale quanto descritto in precedenza, quindi l’elemento centrale è rappresentato dall’obbligo in capo al datore di lavoro di attivarsi al fine di garantire un adeguato iter formativo teorico-pratico all’apprendista.
Accanto a questa prima tipologia il contratto, definito “professionalizzante” consente l’acquisizione di una migliore qualificazione professionale attraverso il duplice profilo dello svolgimento di un’attività pratica accanto all’acquisizione di un bagaglio di nozioni teoriche.

Infine il contratto può essere orientato al conseguimento di un titolo ufficiale (ad esempio un diploma) che certifichi il conseguimento di un determinato livello di perizia nello svolgimento di specifiche attività.
Le sfaccettature che differenziano i tre contratti descritti sono accomunate dall’importanza conferita all’aspetto formativo di detto contratto, elemento che non è stato disciplinato a livello nazionale, ma lasciato all’autonomia regionale che dovrà delineare una normativa specifica d’intesa con il Ministero del Lavoro, le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati.
L’analisi degli impianti normativi circa le diverse tipologie del contratto di apprendistato, tralasciando i caratteri strutturali di ogni contratto, porta ad individuare subito un tratto comune, anche se dotato di connotazioni non propriamente positive, rappresentato dalla mancanza di indicazioni specifiche circa le modalità con cui le tematiche della sicurezza sul lavoro devono essere trattate nell’ambito dell’apprendistato.
Compito delle realtà locali è quindi quello di attivarsi al fine di colmare questo pericoloso vuoto, in modo tale da garantire anche per questa particolare categoria di lavoratori, il rispetto degli obblighi sanciti dalla normativa sulla sicurezza del lavoro, che deve quindi tradursi non solo in concreti programmi di formazione ed informazione ma anche e soprattutto nell’individuazione di mansioni che tengano conto del livello di competenza del soggetto e nelle specifiche necessità formative.
Grande attenzione dovrà quindi essere profusa dal datore di lavoro nel fornire all’apprendista un valido bagaglio di conoscenze pratiche per lo svolgimento dell’attività professionale, così, esatta attenzione dovrà essere impiegata sotto l’aspetto formativo circa la sicurezza del lavoro. Gli apprendisti dovranno essere posti nella condizione di apprendere i diversi elementi che sinergicamente consentono di costruire un ambiente di lavoro salubre e sicuro, tra questi citiamo le norme emanate a tutela della sicurezza dei lavoratori, i fattori di rischio e le misure di prevenzione, gli strumenti ed i macchinari, i dispositivi di protezione individuale e collettivi, i comportamenti da applicarsi nelle situazioni di emergenza.
In relazione agli obblighi che il datore di lavoro è chiamato ad assolvere nei confronti dell’apprendista, soprattutto per quanto concerne quest’ultimo aspetto, si sottolinea l’opportunità sancita dal D.Lgs. 276/2003 che l’apprendista, per la durata del percorso formativo, sia affiancato da un referente interno dotato oltre che di capacità tecniche, anche di un adeguato livello di conoscenza in tema di sicurezza del lavoro al fine non solo di tutelare attivamente la salute e la sicurezza del soggetto, ma in grado di trasmettere tali conoscenze quale parte integrante delle nozioni tipiche dell’apprendistato.
Gli artt. 48 e 49 del D.Lgs. 276/2003 e in precedenza anche il D.M. 28 febbraio 2000 hanno disciplinato i caratteri che delineano e definiscono la figura del tutore aziendale anche se, esaminando il disposto normativo, emerge la limitata portata di detta disciplina. Le indicazioni fornite stabiliscono la collocazione all’interno dell’azienda ( che dovrà essere uguale o superiore alla qualifica che l’apprendista arriverà a conseguire a conclusione dell’iter), la similitudine di funzioni (quelle svolte dal tutore dovranno essere similari a quelle a cui l’apprendista è adibito) e la durata dell’esperienza (minimo 3 anni).
La finalità di garantire un miglior livello di conoscenza dell’apprendista sotto l’aspetto della sicurezza potrebbe essere quello di realizzare una concreta collaborazione tra la figura senz’altro utile del tutore aziendale e il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (R.S.P.P.).

Contratti di inserimento e tirocini formativi

Il D.Lgs. 276/2003 disciplina il contratto di inserimento sottolineandone la particolare finalità, vale a dire la realizzazione di un progetto mirante a modellare le conoscenze e le competenze del soggetto che andranno così ad adattarsi ad un determinato contesto al fine di un inserimento o di un reinserimento nella realtà produttiva e lavorativa.
La valenza maggiore di questa forma contrattuale è rappresentata non solo dal suo ruolo in merito al reinserimento di un soggetto che, dopo un periodo di allontanamento dal mondo del lavoro, voglia reinserirsi, ma soprattutto perché tale contratto va a sostituire in toto il contratto di formazione disciplinato dalla legge 451/1994.
La collocazione dei lavoratori, all’interno di un contratto di inserimento in considerazione della sua applicabilità non solo a chi si inserisce per la prima volta sul mercato del lavoro, ma anche a chi si reinserisce, è quella di lavoratori subordinati, come sancito dal D.Lgs. 276/2003 che, all’art. 58 comma 1, stabilisce l’applicabilità al contratto di inserimento della normativa sul lavoro subordinato a tempo determinato.
Da questo si evince che gli obblighi nascenti in capo al datore di lavoro, avranno ad oggetto le disposizioni sulla sicurezza e l’igiene del lavoro con conseguente obbligo di individuazione nello stesso testo contrattuale dei caratteri che l’applicazione di tale normativa avrà all’interno dell’iter formativo (modalità, durata, contenuti ecc.).
Differenti, in relazione alla tipologia dei destinatari, sono i tirocini estivi di orientamento, percorsi formativi finalizzati all’apprendimento specifici per adolescenti o giovani iscritti a corsi universitari da effettuarsi durante le vacanze estive. Da sottolineare al fine di evitare confondimenti con quanto descritto in precedenza, la presenza all’interno di una realtà produttiva di un soggetto avente tali caratteristiche non possiede i caratteri di un rapporto di lavoro (D.M. 142/1988 art. 1 comma 2) anche se il D.P.R 547/1955 sulla base di una serie di elementi caratterizzanti lo svolgimento di tali esperienze (svolgimento al di fuori del domicilio, mancanza di retribuzione ecc.) lo colloca nell’ambito del lavoro subordinato.
Le conseguenti discordanze generate in relazione alla compatibilità tra le due discipline pone una serie di problematiche soprattutto in riferimento all’obbligo gravante in capo al datore di lavoro di sottoscrivere per i propri subordinati l’assicurazione contro infortuni.
Tenendo conto del tenore di dette disposizioni si assisterebbe ad un’esclusione in relazione ai tirocinanti sia per quanto concerne l’obbligo assicurativo sia sotto l’aspetto della formazione in materia di sicurezza.
Tale opinione basata sulla stretta lettera della legge e pertanto pienamente corretta verrebbe tuttavia inevitabilmente a contrastare sotto l’aspetto delle conseguenze che potrebbero essere generate dall’imperizia che contraddistingue inevitabilmente la condotta del tirocinante.
In questo contesto si inserisce l’attuazione di quanto previsto in materia di tutore aziendale nel suo ruolo di organo di riferimento per il tirocinante, pertanto le competenze di tale referente non dovranno limitarsi all’aspetto didattico ma dovranno comprendere anche quel complesso di nozioni sulla sicurezza del lavoro.
La competenza normativa demandata alle Regioni dovrà quindi, d’intesa con i sindacati, predisporre l’inserimento nelle offerte di tirocinio dello svolgimento di attività formative ed informative sulla sicurezza del lavoro e soprattutto circa l’acquisizione di comportamenti atti a prevenire i verificarsi dei danni da lavoro.
A questa previsione si aggiunge il disposto dell’art. 18 della legge 196/1997 comma 1 lett. e) confermato anche dall’art. 4 del D.M. 142/1988 i quali richiamano gli obblighi dei datori di lavoro che accolgono un tirocinante a sottoscrivere accordi assicurativi con l’I.N.A.I.L. per gli infortuni con l’I.N.A.I.L. e analoghi accordi per la responsabilità civile del tirocinante.

Lavoro a progetto

Quando un lavoratore effettua (o meglio effettuava) una prestazione lavorativa autonoma, non subordinata, personale e non occasionale a favore di un all’interno dell’attività svolta dal datore di lavoro si utilizzava, per configurare tale tipo di situazione, l’espressione di collaborazione continuata e continuativa (i c.d. rapporti Co.Co.Co.). E’ stato usato il verbo al passato, non a caso, poiché il D.Lgs. 276/2003 è intervenuto in materia eliminando tale espressione.
E’ bene chiarire in via preliminare che tale tipo di rapporto viene a collocarsi nell’ambito del lavoro autonomo e questo ha avuto quale inevitabile conseguenza il verificarsi di molteplici situazioni di abuso da parte del datore di lavoro, favoriti principalmente dalla mancanza di una disciplina specifica in materia che disciplinasse la posizione, diritti e doveri delle parti in causa.
Il vuoto normativo è stato in parte colmato dalla previsione del D.Lgs. 276/2003 in attuazione della legge 30/2003.
La prima ratio che si evince dall’analisi di tali testi è quella di fornire una valida disciplina in materia soprattutto per impedire il ricorso a tali tipi di collaborazione quali strumenti per evitare o quanto meno ridurre gli obblighi previdenziali ad essi connessi.
La presenza di tale disciplina ha colmato la lacuna legislativa solo parzialmente in quando il principale risultato sarà la realizzazione di diverse tipologie contrattuali, differenti solo sotto il profilo della denominazione.
Con riferimento a tali forme collaborative si ripropone, alla stregua di quanto avviene per le altre tipologie contrattuali, la problematica legata ai percorsi di formazione ed informazione sulla sicurezza del lavoro. Il D.Lgs. 276/2003 (art. 62 comma 1 lett e) prevede oltre alla forma scritta ad substantiam del contratto, che il testo indichi quali misure andranno a trovare applicazione per tutelare la sicurezza del lavoratore. Ad ulteriore giustificazione di questo citiamo quanto previsto dall’art. 66 comma 4 in base al quale trovano piena applicazione nei confronti di tali rapporti lavorativi le disposizioni del D.Lgs. 626/94, qualora la prestazione si svolga presso il luogo di lavoro del committente, oltre alle norme sui danni da lavoro (infortuni e malattie professionali).
In linea generale l’opinione maggioritaria è quindi quella che sostiene la piena applicabilità delle disposizioni sulla sicurezza del lavoro anche alla nuova categoria dei lavoratori a progetto.
Vi è tuttavia un ulteriore aspetto da considerare e che diventa fonte di incertezze interpretative: va tenuto presente che da un lato i lavoratori a progetto rientrano nella categoria del lavoro autonomo, ma al tempo stesso non è bilanciabile tale autonomia con l’applicazione della normativa sulla sicurezza sancita dal D.Lgs. 626/94.
Sulla base di quanto precedentemente descritto è quindi auspicabile che nella stesura del testo contrattuale si cerchi il più possibile di contemperare le esigenze e gli interessi di entrambi i contraenti.
Continua pertanto ad essere essenziale la presenza di un testo normativa dotato di maggiore completezza ed esaustività in materia in modo da garantire un maggior livello di tutela e disciplina per tutti gli aspetti inerenti a tale nuova tipologia di rapporti lavorativi.
E’ quindi auspicabile che i soggetti coinvolti trovino d’intesa punti di contatto circa i caratteri della prestazione, le sue modalità di svolgimento e quindi l’individuazione dei rischi connessi e delle conseguenti misure preventive, quindi si rimanda all’obbligo per il datore di lavoro di fornire un corretta informazione per garantire salubrità e sicurezza delle condizioni di lavoro.
L’ottemperanza di tali disposizioni risponderebbe quindi non solo ad un’esigenza ricordata nei testi citati ma consentirebbe di aumentare o migliorare la conoscenza del lavoratore circa i rischi a cui può essere esposto e le relative misure e comportamenti per prevenire il verificarsi di eventi dannosi.

Collaborazione occasionale e lavoro accessorio

Il panorama delle forme contrattuali vigenti prevede infine una tipologia che fino all’emanazione del D.Lgs. 276/2003 aveva trovato disciplina solo nella legislazione fiscale (D.P.R. 917/1986 art. 81 comma1 lett. l) dove il lavoro occasionale veniva ad identificare prestazioni lavorative occasionali rientranti nella categoria dei “redditi diversi”.
La normativa del 2003 pur accogliendo quando previsto dal D.P.R. 917/1986 amplia la disciplina in esso contenuta diversificando le diverse ipotesi di lavoro occasionale ordinario e accessorio .
L’utilizzo del termine “ordinario” identifica una forma di rapporto lavorativo che richiama i caratteri della forma lavorativa coordinata e continuativa in precedenza descritta, ma che risulta differente per quanto concerne la durata, la retribuzione e per la mancanza dell’elemento e del vincolo di coordinamento.
La seconda tipologia trova disciplina nell’art. 70 comma 1 del D.Lgs. 276/2003 il quale oltre a qualificare la prestazione di lavoro accessorio individua le esclusive categorie a cui può essere applicato.
Secondo tale norma per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell’ambito:
a) dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap;
b) dell’insegnamento privato supplementare;
c) dei piccoli lavori di giardinaggio, nonché di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti;
d) della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli;
e) della collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamità o eventi naturali improvvisi, o di solidarietà.

In materia di sicurezza del lavoro gli obblighi in capo al committente nascono solo in riferimento all’ipotesi di svolgimento della prestazione presso l’unità produttiva del committente, che rappresenta non solo ipotesi più frequente ma anche la condizione di applicabilità per l’art. 7 del D.Lgs. 626/94 circa la collaborazione tra le parti per prevenire l’evento infortunio.

Al fine di garantire il requisito della certezza circa la disciplina del rapporto lavorativo è consigliabile il ricorso alla forma scritta anche in assenza di specifica previsione legislativa, attraverso la quale delineare il contenuto oggetto della prestazione ed indicare con specifica clausola l’esclusione di responsabilità che sollevi il datore di lavoro in caso di infortunio del lavoratore occasionale.

La presenza, all’interno del testo contrattuale, dell’esclusione di responsabilità non esime il datore di lavoro dal fornire a detti lavoratori un’informazione in maniera chiara, organica e completa circa i rischi connessi all’attività che dovrà essere svolta, le misure ed i comportamenti da adottare sia con finalità di prevenzione sia in risposta a situazioni di emergenza dando così piena applicazione a quanto previsto dal più volte citato art. 7 del D.Lgs. 626/94.